Comunità Ebraica di Casale Monferrato
La Sinagoga
La prima sala di preghiera, secondo notizie di archivio, si trovava in contrada di Po: i verbali dell'assemblea della Comunità del 2 luglio 1590 definiscono l'edificio, nel quale essa si trovava, "modesto e pericolante". Per cercare una sistemazione piu adatta, tre persone furono incaricate di cercare in affitto, entro due mesi, un nuovo locale, per la costruzione di una sinagoga pubblica. Non dovette rivelarsi impresa facile se, trascorsi i mesi stabiliti, l'assemblea del 27 settembre decise di ripristinare la vecchia sala. Quest'ultima, anche se restaurata e resa sicura, non era però sufficiente per i futuri bisogni della Comunità, che stava crescendo di numero, anche per l'arrivo a Casale di ebrei provenienti dal vicino ducato di Milano. Era perciò urgente ingrandire la sala e, per farlo, la Comunità affittò un locale, confinante con il tempio, di proprietà di Marco Antonio Abbaio, unificando così gli spazi. Nel giro di appena otto anni, però, nel 1598, la sinagoga, anche se restaurata e ampliata, risultò nuovamente insufficiente. Ancora una volta l'assemblea della Comunità, nel mese di maggio del 1598, decise che occorreva una seconda sinagoga, che doveva seguire il rito tedesco. Questa fu scelta nell'edificio conosciuto con il nome di Vecchio Trincotto, che si trovava nel vicino cantone Montarone, che apparteneva ad Annibale Natta.
Ecco gli accordi che la Comunità prese con il proprietario:
1) l'università (così veniva allora indicata la Comunità) degli ebrei poteva "modificare il Vecchio Trincotto, destinandolo a sinagoga e ad altri servizi";
2) si impegnava ad "affittare i locali che il Natta stesso doveva modificare secondo un disegno prestabilito";
3) il Natta doveva "assicurare la locazione perpetua e nell'affitto dovevano essere compresi anche il cortile del Trincotto, la stalla e l'abitazione del signor Zenzevrino";
4) l'edificio sinagogale doveva inoltre "essere costruito in modo da permettere ai frequentatori la incolumità da parte dei cristiani".
Il contratto di locazione fu stipulato il 17 settembre 1599 e la casa attigua alla sinagoga fu affidata a un custode ebreo. Durante i primi mesi del 1606 fu costruito nel cortile vicino alla sinagoga un forno pubblico per la cottura delle azzime. Così iniziò la storia dell'edificio che ospita ancora oggi la sinagoga di Casale.
L'edificio, che occupa tutto un lato del piccolo vicolo Salomone Olper, all'esterno ha mantenuto, fin dall'origine, un aspetto anonimo. La facciata, uguale a quella degli altri edifici della strada, è perfettamente mimetizzata con le case del quartiere. Lo stesso ingresso era nascosto e angusto: era infatti buona regola, per motivi di sicurezza in quell'epoca di segregazione, che gli estranei non potessero intuire l'esistenza di una sinagoga. Solo dopo l'emancipazione le sinagoghe divennero monumentali, volutamente individuabili nel panorama architettonico cittadino.
L'edificio della sinagoga si trovava al centro del quartiere in cui gli ebrei si erano concentrati prima spontaneamente e poi obbligatoriamente dal 1724. La stradina nella quale si trova l'edificio allora non era di transito e per raggiungerlo bisognava percorrere cortili, passaggi e scale, lungo un percorso poco agevole e tortuoso. Insomma, vi arrivava solo chi voleva veramente arrivarci.
Dalla porta d'ingresso un piccolo corridoio conduceva in un chiostro interno, nel quale si apriva la porta di accesso a quella che da allora, sia pure con continui rifacimenti, è sempre stata la sala di preghiera: un ambiente rettangolare, orientato da nord a sud nel senso della lunghezza. Per questa conformazione, il locale risultava tagliato in due dall 'arca (aròn) che, per essere rivolta verso est (Gerusalemme), doveva occupare il lato lungo occidentale. Da un lato e dall'altro vi erano le opposte file di banchi destinate ai fedeli: 145 destinati agli uomini e 131 destinati alle donne; questi ultimi si trovavano in posizione nascosta nei cosiddetti matronei, separati dalla sala da grate.
La sala mantenne questa disposizione fino all'inizio del 1700 quando, nuovamente troppo piccola per accogliere tutta la Comunità, fu ampliata. Il gruppo ebraico casalese nel 1718 era infatti aumentato ancora di numero: le famiglie della vicina San Salvatore Monferrato erano state costrette a trasferirsi a Casale perché la loro comunità era stata sciolta dai Savoia. La sinagoga fu probabilmente ampliata già nel 1720 con l'aggiunta di un primo piano, destinato alle donne. Un ulteriore abbellimento si ebbe nel 1787: l'arca che era nella sinagoga dal 1765, fu arricchita con legni preziosi e oro; nello stesso periodo fu costruito un podio (tevà) in legno scolpito e dorato. Nel 1853, subito dopo l'emancipazione, furono abbattuti alcuni muri perimetrali per ampliare ancora la sala e, al suo sterno, nella parte settentrionale dell edificio, fu anche costruito un porticato. Il rabbino Salomone Olper, sollecitato dalle richieste degli ebrei casalesi, fece restaurare e impreziosire il tempio per adeguare anche la sala di preghiere e di riunione alle esigenze della nuova vita sociale della Comunità.
Nell'euforia per la nuova condizione di liberi, gli ebrei casalesi fecero nuove e più sostanziali modifiche alla sala di preghiera: nel 1866 spostarono la porta d'ingresso a metà della parete occidentale e spostarono l'arca al centro della parete orientale, facendo rifare il pavimento intorno ad essa in prezioso mosaico alla veneziana. Posero poi davanti un grande podio, costruirono una cantoria lignea e modificarono la disposizione dei banchi lungo le pareti della sala, rivolgendoli tutti verso l'arca, secondo i nuovi schemi delle sinagoghe dell'epoca, che imitavano le chiese. A questo punto iniziò il lungo sonno dell'edificio: poco curato, perché la Comunità diminuiva progressivamente di numero, perse il suo originario splendore.
Dopo quasi un secolo, nel 1968, iniziò la ripresa: la sala del tempio fu completamente restaurata, sotto la guida dell'architetto Giulio Bourbon, ispettore onorario della Sovrintendenza ai monumenti del Piemonte e ora direttore del museo. I restauri iniziarono con uno studio di carattere storico, arrivando poi a un'analisi più propriamente strutturale e architettonica dell'edificio.
Guida alla sala
L'entrata della sinagoga è situata al piano terreno: dalla strada si passa in un vasto atrio (3,70 x 13,40 m), che prosegue ad angolo retto con un armonioso ed elegante porticato (16,80 x 3,30 m) che forma il chiostro insieme al piccolo cortile-giardino (16,80 x 5,7 m). |
La sala di preghiera (m 18 x 9 e alta 9) è di forma rettangolare ma irregolare, in quanto la parete esterna non è allineata al resto dell'edificio. Riceve luce da 14 ampie finestre (7 per ogni lato: il numero 7 è ricorrente e ben augurante nella liturgia ebraica) ed è per tre lati circondata dalle gallerie che si trovano su due piani: in origine i due matronei, dalle quali le donne assistevano alle officiature. Questi si affacciano sulla sala con 21 finestroni, chiusi da grate in legno laccato e dorato, 14 delle quali sono del secolo XVII, mentre 7, clic formano l'ala lunga del matroneo, al primo piano, appartengono al XVIII secolo. Nei due piani ha oggi sede il museo.
Il soffitto della sala è costituito da una volta a botte lunettata, che si appoggia sulle pareti est e ovest, dove si trovano le grandi finestre e le grate del matroneo. Grandi lampadari dorati pendono dal soffitto.
Il soffitto e i vani delle finestre sono decorati con pitture e stucchi dorati che spiccano su un fondo verde-azzurro. La decorazione della volta imita un cielo azzurro nel quale campeggia a caratteri dorati e traforati, l'iscrizione in ebraico "Questa è la porta dei cieli". Viene così rispettato il precetto per il quale tutte le sinagoghe devono trovarsi all'ultimo piano, sotto la volta celeste, e non devono avere nulla al di sopra se non il cielo.
I colori che prevalgono all'interno sono i toni del verde-azzurro; la parte decorativa è invece, in parte in stucco ricoperto con fogli d'oro zecchino e in parte ricoperto con le più economiche dorature "alla mecca", cioè con vernice trasparente di tonalità aurea. La luce che penetra dalle grandi finestre verticali sui lati orientale e occidentale, con un effetto sapientemente dosato, lascia sul fondo policromo penombre affascinanti e mette in risalto le dorature delle pareti, senza sminuire l'atmosfera di raccoglimento del luogo di Culto, che conserva un aspetto scenografico nel ricco stile barocco.
Nel 1968, quando iniziarono i restauri la sala della sinagoga era coperta da uno strato scuro di smog e in parte da strisce scure, che gli ebrei casalesi avevano dipinto lungo i muri in segno di lutto per la morte di Carlo Alberto. I lavori eseguiti hanno fatto riacquistare alle pareti e alle decorazioni i brillanti colori originari: bianco, blu cobalto e oro zecchino. Sul soffitto, sul lato sinistro dell'arca, e possibile vedere un quadrato scuro, lasciato dai restauratori per dimostrare come si presentava il tempio prima del restauro.
Lo spazio dedicato all'officiatura (dukhàn o tevà) è leggermente sopraelevato rispetto al pavimento. E' chiuso da un ricco cancello di ferro battuto, dipinto in verde con parti dorate con oro zecchino in foglio. Modificato nel tempo con l'aggiunta ai lati di una balaustra di marmo, vi si accede per mezzo di due piccoli cancelli laterali.
Al centro si trova la grande arca che custodisce i Rotoli della Legge (Séfer Torà). Questo arredo del 1765, di stile neoclassico, splendidamente ornato di legni preziosi e capitelli, fu arricchito nell'attuale aspetto nel 1787: ha un corpo centrale sormontato da un timpano, sorretto da monumentali colonne di legno. I capitelli corinzi e la decorazione di rami e foglie di quercia sul timpano sono in oro e contrastano con il resto dell'arca, le cui porte sono di legno scuro. |
|||
|
|
||
L'interno dell'arca contiene un ripostiglio speciale per gli arredi sacri ed è tappezzato in damasco rosso, con parti dorate con figure in rilievo, mentre l'interno delle antine è dipinto in azzurro. |
|||
Nella parte alta, sono decorate con i Dieci Comandamenti scritti in ebraico e, nella parte bassa, con un candelabro a sette bracci (menorà) e l'arca del'Alleanza.
Sulle pareti laterali alle spalle dell'arca vi sono due grandi stucchi tinteggiati di bruno per simulare il bronzo. Raffigurano Gerusalemme (a destra) ed Hebron con le tombe dei Patriarchi (a sinistra). Un terzo stucco, simile ai Precedenti, segna, sempre alle spalle dell'arca, l'ingresso originario d'accesso al tempio.
Sulla parete che si trova alla destra dell'arca poggia una grande cantoria o pulpito, progettato dall'architetto Lucca nel 1896. Vi si accedeva tramite una scala che non esiste più perché il pulpito ora non si usa, anche se continua a essere un importante elemento decorativo della sala. I pulpiti, infatti, sono rari nelle sinagoghe tradizionali, perché estranei alla liturgia ebraica, nella quale la preghiera è corale e non affidata a un officiante. I primi pulpiti compaiono perciò solo dopo l'emancipazione nelle sinagoghe nuove (Vercelli) o sono costruiti come elemento architettonico aggiunto in quelle già esistenti (Cuneo), a imitazione delle chiese cristiane.
Nell'attuale sala le due file allineate di banchi in noce sono rivolte verso l'area di preghiera, dove si trova il podio (dukha'n o tevà), davanti all'arca. La disposizione attuale, che risale all'epoca dell'emancipazione, trasformò quella originaria che prevedeva un'area di preghiera al centro, con tutti i banchi posti intorno a semicerchio.
Ai fianchi dell'arca si trovano due grossi candelabri in bronzo sbalzato, del XIX secolo, capaci di sorreggere 80 lumi ciascuno. Tutto l'interno del tempio è ricoperto di stucchi dorati che, per la loro ricchezza, possono essere assimilati alle numerose decorazioni dei monumenti piemontesi dello stesso periodo tardo barocco. Nel caso della sinagoga, però, si tratta di fregi con caratteristiche particolari, che gli artigiani esecutori dei lavori (tutti cristiani, perché gli ebrei non potevano far parte delle corporazioni medievali di arti e mestieri e quindi non erano mai stati artigiani) erano tenuti a rispettare come, per esempio, l'assoluto divieto di rappresentare immagini umane nelle decorazioni ("Tu non ti farai immagine").
Le iscrizioni murali
Le quattro pareti della sala sono ricoperte da iscrizioni in ebraico, incorniciate con stucchi dorati, che costituiscono preziosi elementi decorativi, insieme alle grate in legno cesellato, che celano i due matronei. con fregi e cartigli, si trovano anche lapidi di marmo bianco di Carrara, con iscrizioni sempre in caratteri ebraici.
Le scritte, che si susseguono in tre ordini successivi, possono dividersi tra quelle che citano i Salmi, scelti da Giuseppe Levi, e che occupano la prima e terza fila, e quelle che ricordano avvenimenti storici e notizie legate alla costruzione e all'abbellimento della sinagoga, nella seconda.
Il fatto che tutte le iscrizioni siano in ebraico non deve stupire: l'ebraico era infatti una lingua che tutti gli ebrei conoscevano e utilizzavano per le preghiere (come i cristiani utilizzavano il latino nelle chiese); né deve stupire la vasta scelta di Salmi: essi rappresentano una forma di religiosità devozionale, molto accessibile anche a non ebrei. In queste scritte l'ebraismo appare nei suoi aspetti più universalistici e spiritualistici, tipici del Settecento e dell'Ottocento, quando andava facendosi strada uno spirito nuovo dell'ebraismo, inteso solo come religione. |
Se i Salmi occupano la maggior parte delle iscrizioni delle pareti, particolarmente interessanti sono anche quelle che riguardano momenti diversi della costruzione e dell'abbellimento del tempio: leggere queste lapidi è come sfogliare un libro di storia, nel quale sono riportati momenti felici e meno della vita di questa Comunità e dei suoi personaggi: una prima ricorda infatti la costruzione della sinagoga ("Ricordi questa lapide che nell'anno 5355-1595 fu edificato questo oratorio ad onore del Dio d'Israele"); una seconda la generosita' di Giuseppe Vitta Clava, che permise la creazione del primo matroneo ("Ricordi questa pietra la generosità di Giuseppe Vitta Clava che questo Santo Tempio volle ornato di una nuova tribuna per le signore - 5480-1720"); un'altra il restauro e l'arricchimento dell'arca ("Questa pietra in perpetuo attesti che l'Arca Santa splendidamente ornata di legno prezioso e di capitelli di oro purissimo, fu costruita nell'anno 5547-1787"). E ancora il rifacimento de1 pavimento, grazie a una donazione ("A perenne ricordo che il pavimento di marmo fu posto nel Tempio e nel porticato per la liberalità del barone Giuseppe Raffael Vitta nell'anno 5583-1823") e l'ampliamento del tempio ("Per decisione dei capi, per volontà dell' assemblea, per generosità di popolo fu richiamato a nuova giovinezza questo Tempio e fu aumentato in lunghezza davanti all'Arca Santa. Con tripudio e giubilo fu rinnovato nell'anno 5626-1866").
Sulle pareti non manca il richiamo a alcuni avvenimenti storici: l'assedio delle truppe spagnole ("Giorno di luce e di gioia che ricorda la liberazione e la salvezza a noi concessa da Dio nell'assedio delle truppe spagnuole - 21 Adàr 5389-1629 e 10 Tisrl 5391-1631") e lo scampato pericolo quando alcune bombe caddero sul tempio affollato, senza provocare vittime ("A ricordo della protezione divina nell'assedio delle truppe spagnuole -21 Adàr 5389-1629 e 10 Tisrì 5391-1631" e "Giorno di canto e di giubilo perché il Signore ci protesse e ci salvò dalle bombe degli insidiatori che osteggiavano la città. 7 Jiar 5416-1656"): due eventi miracolosi, festeggiati nel Purim degli Spagnoli (21 Adàr 5389-1629) e nel Purim della Bomba (7 Yiar 5416-1656), ricorrenze particolari casalesi, per ringraziare la protezione divina accordata in quei momenti di pericolo.
Sempre sui muri della sinagoga vi è infine una lapide di grande interesse storico, che riguarda l'emancipazione ("1848 il 29 marzo/Re Carlo Alberto e il 19 giugno il parlamento nazionale decretavano - i diritti civili e politici agli israeliti subalpini - acciocché scordate le passate interdizioni - nell'uguaglianza e nell'amor patrio crescessero liberi cittadini - a perpetua ricordanza gli Israeliti Casalesi"). |
Questa è l'unica l'unica lapide in ebraico e in italiano. Si tratta di una data molto importante pcr gli ebrei che, da quel momento in poi, sentirono una forte riconoscenza verso il sovrano sabaudo che li aveva affrancati. Così, quando morì Carlo Alberto nel 1852, gli ebrei listarono a lutto la sinagoga, dipingendo sui muri delle fasce nere sotto le grate dei matronei. Non furono gli unici ebrei a piangere il sovrano sabaudo. Quelli di Torino, per esempio, espressero il loro dolore abbrunando le antine di un'arca. Questa, che si trova oggi in un'angolo del tempio torinese, ha mantenuto il colore del lutto.